"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"

8 Giugno 2019. Moab, Canyoland, Island in the Sky, Dead Horse


Svegli da prestissimo, ci organizziamo la giornata. Colazione delle nostre e fermata d'obbligo per un mega caffettone in un 7Eleven (catena market  a noi nota) di passaggio. Oggi ci aspetta la parte nord di Canyoland, Island in the Sky, e prima di essa, il Dead Horse, un parco caratterizzato da una mesa che domina una vallata con un'ansa del fiume Colorado che lo caratterizza. Non essendo valida la tessera annuale, paghiamo i 20 dollari di ingresso. Il percorso che porta al punto chiamato Dead Horse, che poi è il suo termine, è una striscia di asfalto di diversi km con molti punti di osservazione che dominano la vallata a destra e a manca.  Arriviamo alla fine, dove il Colorado crea l'ansa nella vallata sotto di noi, siamo ad una quota di circa 1750 m. Bello ma niente di che rispetto a quanto visto precedentemente. Anche qui tentiamo l'alloggio per i campeggi ma sono tutti occupati.  Non ci disperiamo come ieri perché siamo quasi certi che, mal andando, troveremo posto nel camping di ieri. Usciti da questo parco, proseguiamo per Canyoland nord. La differenza fondamentale tra questa parte di Canyoland e l'altra di ieri, Needles, è la visione panoramica dall'alto. Island in the Sky, oltre la mesa incuneata tra Green river e Colorado riverer, è una sorta di torre di osservazione di tutto l'orizzonte. Da qui si può avere una vista dalle dimensioni inimmaginabili. Nei pressi del bordo della mesa c'è il White Rim, un banco di arenaria a 366 metri al di sotto dell'Island. Ad altri 300 m. al di sotto del White Rim ci sono I fiumi, ombreggiati dagli strapiombi del canyon; al di là di essi si estendono le altre due aree, Needles e Maze. Dapprima, dopo la tappa obbligatoria al Visitor Center, con tanto di buoni suggerimenti dei rangers, andiamo al primo punto panoramico su un cratere: è il Upheaval Dome. Molte sono le teorie di creazione di tale fenomeno, da quelle scentifico/geologiche (lento movimento di depositi di sale del sottosuolo che hanno spinto strati di arenaria verso l'alto) all'impatto di un meteorite. Ancora il mistero persiste. Continuiamo in macchina toccando i vari punti panoramici che dominano la vallata. Molti i trekking da fare, la maggior parte lunghi e di medio-alta difficoltà perché spesso scendono a valle, alquanto duri da risalire. Una delle cose che caratterizza questo parco è una lunga strada sterrata, lunga 100 miglia ovvero 160 km. È la White Rim Road. Per percorrere questa strada è necessario un 4x4 serio con serbatoio pieno e scorta di carburante perché normalmente si fa in due o piu giorni, dormendo nei campground di passaggio con tanto di  permesso, gratuito, rilasciato preventivamente al Visitor Center. In questo lungo percorso c'è anche la possibilità di dover tornare indietro se il guado dei fiumi non ne permettono il passaggio, uno in particolare si tova proprio in prossimità della fine. Un altro percorso fuoristrada che, per il primo tratto copia la White Rim Road per poi biforcarsi e dirigersi verso la città di Moab, si chiama Potash Road e  parte da 1800 m di altitudine. Il ranger del Visitor Center ci da le giuste raccomandazioni e, dopo aver visto il modello della nostra auto al PC, ci da l'ok e noi si va.  I primi 10 km con tornanti strettissimi, ripidi e a strapiombo, ci tengono alta l'adrenalina facendoci scendere di 600 metri di quota tra canyon mozzafiato. Scendendo incrociamo due fuoristrada che salgono e passiamo a malapena. La giusta concentrazione sulla guida e sulla strada non ci distolgono dall'ammirare il paesaggio dentro al canyon. Arrivati a valle dopo 13 km circa, ritroviamo il fiume Colorado e la Dead Horse; siamo a parecchie centinaia di metri al di sotto di dove visto stamattina. Da qui è molto più suggestivo e apprezzabile se non altro perché siamo soli in mezzo alla natura selvaggia di questo parco, tra canyon e rocce monolitiche sempre in equilibrio, sfidanti ogni legge di gravità. Fiancheggiando il Colorado arriviamo ad una salina molto moderna e ben organizzata. Le sue acque hanno dei colori che fuoriescono dal contesto, spaziando da tonalità di blu mare, fino al bianco del sale. Finalmente ritroviamo l'asfalto, abbiamo percorso circa 35 km di sterrato. Ora direzione Moab, a circa 20 Km. Sulla nostra destra il fiume Colorado e sulla sinistra pareti rocciose. In queste, tanti free climbers in azione, sono praticamente a bordo strada. Questo percorso in fuoristrada è stata la cosa che ci è piaciuta di piu di questa area di parco e, secondo noi, è anche la più rappresentativa di ciò che questo sia. Entrati in città, a Moab appunto, constatiamo che è molto frequentata da chi ama fare sport all'aria aperta; kayaking, rafting, mountain biking (tantissime persone in bici da strada e da montagna), ... e moto cross. Ecco perché negli alberghi e campeggi non c'è posto, soprattutto nel fine settimana ed ecco perché, oggi come ieri, dormiremo nel camping spartanissimo ma comodo, di ieri (a proposito, 15 dollari a notte).

07 Giugno 2019, Da Mesa Verde a Moab, direzione Canyoland.

Partiti da Mesa verde, ci dirigiamo a Moab, cittadina vicina al Parco Nazionale Canyoland e ad Arches, tappe quasi d'obbligo per chi intraprende questo giro dei parchi. La destinazione è a circa 280 km, prima di raggiungerla però facciamo tappa alla parte est di Canyoland perché per noi è di passaggio. Canyoland è una vastissima area di 840 km ², un deserto roccioso nel cuore dell'altopiano del Colorado. Acqua e gravità sono stati i principali architetti di questa terra, ritagliando strati uniformi di roccia sedentaria in centinaia di canyon, Mesa, butte, Archi e guglie. Al centro ci sono due canyon intagliati dai fiumi "Green" e "Colorado". Intorno a questi si estendono tre vaste aree molto diverse tra loro: Island in The Sky a nord; Maze a ovest; Needles a est. Sono aree diverse ma che condividono l'aspetto selvaggio del West America. Questo perché pochi furono gli audaci che vi accendevano: ovviamente i indiani, gli intrepidi cowboys, gli impavidi esploratori e i cercatori di uranio. Il parco è stato fondato nel 1964 e molto di esso è ancora inesplorato. Molte delle sue strade non sono ancora lastricate ed i suoi sentieri sono tutt'ora molto selvaggi. Lasciata la strada 191 entriamo nella 211, quella che porta al Visitor Center a 56 km di distanza dove chiadiamo come muoverci in questa ampia e selvaggia zona. Mappe e informazioni alla mano iniziamo iniziamo l'esplorazione. Capiamo subito il perché del nome Needles, aghi. Questi non sono proprio aghi ma pinnacoli di roccia rossi e bianchi. I movimenti tellurici hanno fratturato la roccia e l'acqua e il vento con la loro forza di erosione, ha completato l'opera. Arrivati al parcheggio di Elephant Hill, come suggerito dai rangers, iniziamo un trekking denominato "Chesler Park Viewpoint". È ritenuto di media difficoltà e si sviluppa in un bastone di 5 km che diverranno 10 al rientro, tra andata e ritorno. Effettivamente è un trekking abbastanza impegnativo e il caldo si fa sentire ma gli scenari sono impagabili. La cosa che salta subito all'occhio è la tracciatura del sentiero; non esistono le segnalazioni con vernice che da noi spopolano, solo omini di pietra (noti ai trekkers) che vengono rispettati e non buttati giù, da tutti coloro che vi passano. Lungo il sentiero attraversiamo paesaggi mozzafiato, non solo per la vastità ma anche per la struttura; canyon strettissimi, con distanza di un metro tra roccia e roccia, pinnacoli altissimi dalle forme più disparte, maestose formazioni a forma di fungo (chiamate appunto mushrooms) ci lasciano senza parole. Dopo 5 km di meraviglia ed estenuanti saliscendi, raggiungiamo la nostra meta, una formazione rocciosa........ di cui godiamo del panorama attorno. Rifocilliati con un buon panino, acqua, che mai manchi, si prende la via di rientro. Arrivati al parcheggio dopo circa 4 ore, ormai è pomeriggio inoltrato. È ora di proseguire il nostro percorso fino a Moab, la cittadina più vicina, dove sosteremo. Riprendiamo la 211. Lungo il percorso, una sosta alle pitture rupestri degli antenati degli indiani Pueblo, gli stessi che popolarono Mesa Verde. Lasciamo la 211 per riprendere la 191. Sosta obbligatoria al famoso Wilson Arche, un arco naturale che si staglia alla nostra dx, lungo strada. Foto di rito e via per Moab dove ci attende una bella sorpresa. Abbiamo prenotato un miniappartamento per tre giorni, quelli che, secondo noi, sono il minimo necessario per visitare questa zona. Stanchi, accaldati e desiderosi di una bella doccia rilassante, arriviamo all'appartamento. Non c'è alcun ufficio ricezione né nessuna informazione su come entrare. Probabilmente è come la casa che avevamo a Burbank, dovremmo avere una email in cui ci spiegano le procedure d'ingresso alla casa, infatti sulla porta c'è una tastiera numerica che è la chiave d'accesso, con una password nella email indicata. Il problema più grande che abbiamo in tutto questo percorso fra i parchi è la connessione. Nonostante abbiamo acquistato una sim card della TMobile (per carità di Dio) pensando di avere facile connettività, ci accorgiamo da subito che la copertura offerta in questi stati è pari a 0. Fortunatamente ci permette almeno le telefonate ma a noi servono ben poco. Quindi, arrivati qui, nel parcheggio dell'appartamento, non abbiamo alcuna connessione. Andiamo alla ricerca di zone coperte da segnale ma non troviamo niente. Siamo preoccupati. Ci viene in mente il vecchio e caro McDonald's. Corriamo qui; due caffè e finalmente, dopo vari tentativi ci connettiamo. Nelle email ce n'è una di Agoda, il motore di ricerca che oltre Booking.com usiamo per le prenotazioni. L'amara sorpresa. Ci riferiscono che l'appartamento non è disponibile perché il pagamento da noi effettuato con carta Visa (sempre usata senza problemi) non è stato processato. Siamo quasi disperati. Cerchiamo di contattare Agoda senza risultato. È venerdì e, per esperienza, sappiamo che, nei pressi dei parchi, è impossibile trovare alloggio. Sono le 19.00 e siamo agli sgoccioli. Iniziamo le ricerche per qualche struttura ricettiva. Picche; tutto Full, pieno, campeggi compresi. Rimango solo alcune suite di alberghi costosi, dai 300 dollari in su. Vaghiamo disperati fino alle 21.00. Altre città vicine non c'è ne sono. Inizia a fare buio. Nella disperazione andiamo in un un ultimo camping, a circa 5 km dalla città; è l'ultima spiaggia. Si chiama Sand Flat Recreation Zone e ci sono piazzole libere, siamo salvi... anche dalla galera perché non è consentito dormire in macchina in luoghi pubblici, cosa che avremmo dovuto fare. Rincuorati dalla fortuna nella sfiga, ci laviamo un pochino con l'acqua delle taniche che abbiamo sempre con noi e, dopo aver mangiato qualcosa delle nostre scorte viveri, ci collassiamo nella nostra macchina/tenda. Anche oggi è andata.

06 giugno 2019. Mesa Verde National Park

Stamattina l'appuntamento con il Ranger, per fare il primo tour, "Cliff Palace", è alle 9.20, per partire alle 9.30. Arriviamo iper puntuali come sempre e insieme ad altre persone del gruppo attendiamo la nostra guida. Si presenta una simpatica Ranger non proprio giovanissima, molto professionale e tipicamente English Mood, una gentlelady. Ci da diverse raccomandazioni sulla sicurezza, sul rispetto del sito e si parte. Scendiamo alcuni scalini di legno e ci troviamo di fronte ad un bellissimo villaggio, con tanto di spazi costruiti con la pietra, tutti attaccati. Ci spiega infatti che la caratteristica della comunità delle popolazioni ancestrali era questo, comunione, condivisione. La visita dura un'ora e permette di entrare a vedere da vicino questo grande e complesso sito archeologico, che fu costruito ed insediato dal 1190 al 1280 dopo Cristo. Questo sito è visibile anche da un punto panoramico posto proprio sopra, quindi se non voleste fare il tour (che noi suggeriamo caldamente) potreste soltanto vederlo, nella sua meravglia, da sopra. Finito qui, alle 11.30 abbiamo l'altro tour nell'altra zona archeologica il "Balcony House" a poche centinaia di metri da qui. Un altro Ranger, questa volta un simpatico americano in carne, anch'egli abbastanza attempato, ci accompagna in questo sito, detto balcone perché è proprio costruito in una insenatura nella montagna, che da su tutta la foresta sottostante. Il tour viene definito dai ranger molto duro perché ci sono diversi scalini da salire così come un brevissimo tunnel nel quale si striscia letteralmente per poter continuare; non è così duro come dicono, infatti lo fanno cani, porci e bambini. Probabilmente adottano queste misure per dissuadere proprio queste persone poco adatte a tale percorso, senza però alcun risultato.  Molto interessante anche questo sito ma purtroppo lo stretto slang americano del Ranger ci permette di capire solo il 50% della spiegazione. Siamo comunque davvero soddisfatti di aver visto da vicino queste due attrazioni e poi la giornata oggi è stupenda. Ora di pranzare; ci fermiamo in un'area pic-nic attrezzata con tavoli e panche, dove mangiamo le nostre provviste coccolati dal caldo e dal sole. Trascorriamo il pomeriggio a toccare i punti panoramici rimanenti e ci incamminiamo verso l'uscita. Ciao Ciao Mesa Verde, che gli spiriti indios ti proteggano. La serata si conclude tra spesa per i prossimi giorni, prenotazioni alberghi, dove possibile, programma di domani, giorno in cui prevediamo di raggiungere altri parchi e così via...buonanotte.

05 giugno 2019. Valley Of Gods

Ore 6.00 siamo svegli. Intorno a noi la luce piena de sole, sorto ormai da più di un'ora, ci da il buongiorno. Siamo in un angolo di terra della Valle degli Dei, in Arizona, dall'altra parte del "nostro" mondo. La giornata è limpida e calda. Smontiamo tutto e ripartiamo da ieri. Ripercorriamo i diversi km che avvolgono la valle; ora le luci del mattino, riflettendoci sulle creature immobili della valle,  creano ombre più intense, regalandoci immagini uniche. È davvero un luogo suggestivo dove il silenzio attraversato dal vento e la terra rossa che ci circonda fin da sotto i piedi, ci fanno sentire "liberi". Ogni tanto incrociamo un'altra auto e i sorrisi di compiacimento vengono fuori istintivamente; siamo anche noi qua, in questo angolo baciato da Dio, anzi dagli Dei navajo. Trascorriamo un'ora a ripercorrere la strada fatta ieri, le foto non si contano più. È ora di proseguire, ci aspetta un'altra tappa importante, una tappa che originariamente non era nei nostri piani ma che, rivedendo alcune cose, ora c'è: il Parco nazionale di Mesa Verde, in Colorado. Poco prima di arrivare però, faremo una piccolissima deviazione, di passaggio, per vedere  due monoliti che vengono chiamati Twins, gemelli. Si trovano nella cittadina di Bluff, nello Utah al confine con il Colorado appunto. Arriviamo a Bluff dopo circa 120 km e, poco prima di raggiungere il sito dei gemelli di pietra, ci fermiamo in prossimità di un'indicazione per un fortino storico. Andiamo a vedere: DA NON PERDERE. È la riproduzione storica dell'area primordiale di Bluff, del villaggio, con tanto di casette di legno tutte arredate come all'epoca. Ci sono tutti gli edifici importanti: la scuola, la chiesa/teatro/sala riunioni, la "piazza" e tanti calessini. È tutto intatto, tutto come allora. Questo sito è mantenuto perfettamente ed è continuamente curato da alcune persone del posto, probabilmente discendenti delle famiglie che qui vivevano o semplici appassionati. Ogni casetta, ogni luogo chiuso può essere visitato ma soprattutto capito, grazie alla traduzione che si può avere premendo uno dei tasti corrispondenti alla lingua scelta, posti  sugli usci; c'è pure l'italiano e quindi non ce ne priviamo. Veniamo a conoscenza di una donna che da infermiera divenne ostetrica, suo malgrado,  e che per 25 anni fu il medico del paese, curando i suoi compaesani con amore e medicinali in cambio di vettovaglie; di alcuni  insegnanti, che,  sempre in cambio di vettovaglie o anche animali da pascolo, mucche soprattutto, davano lezioni ai bambini di tutta la vallata. Conosciamo un uomo, di cui non ricordo il nome, che, nato in terra, dietro alla diligenza dei suoi genitori mentre cercavano rifugio e conforto in una nuova terra (Bluff appunto), provenienti da Sedona, cittadina vicina ormai difficile, grazie alla passione per i libri e la cutura, divenne membro della commissione che stilo' la prima carta costituzionale dello Utah. È assodato ormai che i nativi americani siano stati martoriati, snaturati, massacrati dai popoli colonizzatori ma è altrettanto assodato che tante genti, che vivevano pacificamente, spesso erano costrette a difendersi, spostandosi o combattendo perché i navajo, così come le altre tribù, non erano gli unici pericoli; gli stessi fuorilegge americani se non gli animali feroci, la siccità o le gelate martoriavano intere popolazioni che erano, perciò, costrette a trasferirsi. Ci sarebbero volute ore per respirare e immergersi in questi periodi storici;  fortunatamente qui c'è gente che mantiene la memoria storica delle proprie fondamenta. Chi è appassionato di storia americana, appassionato dei film Western o storici; chi, come me, è vissuto all'ombra televisiva  di " La casa nella prateria" o è semplicemente curioso, non può esimersi dal venire qui. A poche centinaia di metri da questo fortino meraviglioso ci sono i due colossali gemelli di pietra: identici; due monoliti granitici affiancati, quasi uguali, impressionante. Dopo le foto di rito si va via da Bluff e dallo Utah, per un po'. Continuando la nostra strada si cambia stato, si cambia orario, un'ora avanti, siamo in Colorado. La temperatura si abbassa, torna l'autunno inoltrato, fuori c'è freddino, anzi, pioviggina. Ingresso al parco di Mesa Verde (25 euro per chi non ha la tessera), sono le 12.30. C'è tanta gente ma non ci si disturba. Percorriamo circa un Km dalla guardiola d'ingresso e siamo al Visitor Center. Qui entriamo e ci facciamo suggerire dei percorsi e siti da vedere. Un anziano ma lucidisso Ranger ci da diverse dritte e anche una mappa in italiano, che bello non faticare!. I siti più importanti di  Mesa Verde si sviluppano negli ultimi km della strada che dal Visitor Center si estende per poco più di 30 km fino a fondo valle. Ci sono diversi Loop da fare ma non senza accompagnamento. Infatti, nonostante vi siano punti d'interesse panoramici di pubblico dominio, per accedere ai siti archeologici bisogna avere il Renger guida; il costo per avere la guida è di 5 dollari a testa per ogni percorso scelto. Questo sito è stato fondato nel 1906 per preservare e interpretare il patrimonio archeologico degli "Ancestral Pueblo" che ne fece dimora per oltre 700 anni, dal 600 al 1300 dopo Cristo. Oggi il  parco protegge circa 5.000 siti archeologici noti, tra cui 600 abitazioni rupestri. Questi siti sono tra i più notevoli e meglio conservati negli Stati Uniti. Approfittiamo della pioggia per visitare il museo, ben allestito e molto esaustivo, documentazione di un popolo che era capace di vivere abbarbicato sulla cresta delle montagne, appollaiato come un rapace nel suo nido; così come era capace di costruire degli agglomerati in pietra e malta definendo spazi, come camere, torri e aree di coltivazione. La forma usata era circolare (si chiamano Kiva) e ci ha ricordato i nuraghe, in piccolo. Anche questi, come tutte le tribù native americane, conoscitori di erbe e piante, non mancavano di utilizzare qualsiasi cosa la natura offrisse loro. Mesa verde è un bel sito archeologico, patrimonio dell'Umanità ma è soprattutto un'area verde vastissima, interrotta da grosse formazioni calcaree o arenarie. Dal punto di vita scenografico è davvero suggestivo. Continuiamo all'esterno ma la pioggia, purtroppo, ci consente soltanto di vedere il tutto in modo approssimativo. Smette per un po e quindi approfittiamo per vedere il "Far View Sites" un percorso acciottolato di 1.2 km che porta ai resti di cinque villaggi e una riserva d'acqua della comunità dell'area di "sopra", e si, perché queste popolazioni erano avezze a costruire i villaggi negli anfratti e nelle insenature delle rocce del canyon, quindi sotto. Per domani abbiamo prenotato due dei tre tour suggeriti dal ranger  del Visitor Center, "Cliff Place" e "Balcony House" che ci porteranno nei meandri dei siti archeologici "di sotto". Ora andiamo nella vicina cittadina di Cortez, a circa 16 km dal parco, per alloggiare in un alberghetto prenotato  qualche giorno fa. Si chiama Travelodge by Wyndham Rewards, costa relativamente poco ed è vicino al  parco, due requisiti  da non trascurare. È una sorta di motel, con tante stanze e tanta gente, famiglie comprese, carino, sufficientemente confortevole per le due notti che vi trascorreremo.

04 giugno 2019, Monument Valley; Mexican Hat e Valley of Gods.

Dopo una notte serena, ci risvegliamo tra pini e silenzi interrotti dal cinguettio degli uccelli. Sbaracchiamo tutto e, dopo la frugale ma sufficiente colazione, ripartiamo con la nuova macchina verso altri lidi; ci attende la Monument e Valley a circa 288 km da qui. Salutiamo il Grand Canyon con l'augurio sincero di tornare e ritrovarlo così, magnifico. Ci fermiamo per benzina (a proposito i prezzi variano molto da Stato a Stato, questo è il più economico trovato fin'ora, circa $ 2.90 a gallone, cioè circa 2.5 euro ogni 3.8 litri) e caffè in un market e via. C'è molto caldo ormai da qualche giorno; praticamente abbiamo attraversato le quattro stagioni in un mese. Arriviamo alla Monument Valley; questo non è un parco nazionale ma navajo e quindi la tessera non vale. L'accesso è di $ 20, meritati. Dovremmo dormire nel camping all'interno ma non è ancora possibile fare il check in, è troppo presto, il costo è di $ 25 dollari (più dell'ingresso) ed è completamente spoglio, una radura immersa nel deserto....mmma, non siamo molto convinti. Comunque iniziamo il giro dei vari monumenti naturalistici in pieno deserto navajio. Molto del percorso si fa in macchina e ci sono diversi accessi solo per chi fa il tour con le guide navajio. È stupefacente. Dappertutto si ergono montagne di arenaria o comunque monoliti color mattone che danno vita a queste immense distese. Le rocce e i grandi monoliti si sbizzarriscono con le forme più strane, da  quella che richiama l'elefante a quella delle tre sorelle, tre guglie vicine. Il paesaggio è davvero magnifico, polveroso ma magnifico. Unica nota dolente è che le guide navajo che accompagnano le persone nei tour con jeep cassonate, corrono come matti nelle strade polverose, sollevando una scia di terra spaventosa; si divertono così; peccato che il limite da loro stessi imposto qui, per la velocità, è di poco meno di 30 km/h. Andiamo via dal parco ma, siccome è abbastanza presto, sono circa le 15.30, decidiamo di non  restare qui in campeggio a dormire ma di proseguire per le tappe successive che avevamo previsto: Mexican Hat e Valley of Gods. Quindi, chiunque avesse la fortuna di venire qui sappia che la Monument Valley si può visitare in circa tre ore, senza tour guidati che farebbero aumentare il tempo di permanenza. Diretti ad un monolite a forma di omino col cappello da messicano, percorriamo circa 37 km. Eccolo là; con una deviazione a destra, percorsi circa 300 metri di sterrato, si erge questo massiccione messicano, molto carino e simpatico, niente di più. Ripreso il cammino per la valle degli dei, sulla  strada attorniata da massi imponenti di color mattone che ne fanno un'attrazione ad ogni miglio, chiamata per questo motivo "scenica"  (Scenic road), iniziamo a vedere guglie e monoliti con forme strane all'orizzonte: la Valle degli Dei. Mai nome fu più appropriato. È un'immensa piana in cui passa una strada sterrata di circa 30 km, la Valley of The Gods Road, che permette di inoltrarsi all'interno. Non è un parco nazionale, non è a pagamento, è territorio navajio. Siamo letteralmente a bocca aperta, un susseguirsi di roccione, grandi massi poggiati, a volte l'uno su l'altro, sembrano aspettare una folata di vento per cadere giù. Maestosi, con forme suggestive e, chiaramente evocative per i nativi del posto, che ritengono ancora oggi questa una valle sacra. Tutti questi luoghi sono terra navajio; è la loro terra. Qui vivevano e vivono ancora e, come per altri siti ora turistici, permane ancora oggi la sacralità degli stessi, che racchiudono ancora gli antichi spiriti a loro cari. Noi, spiriti o no, siamo incantati da tali bellezze naturali. Vediamo ogni tanto dei camper e delle tendine da campeggio sparse qua e là, a debita distanza gli uni dalle altre e capiamo subito che si può campeggiare; effettivamente non c'è alcun divieto, solo quello di accensione fuochi o danneggiamento dei siti. E quindi? decisione presa: dormiremo qui, tra gli dei e gli spiriti degli antichi navajo, sotto un cielo stellato, un clima perfetto e un bicchiere (non proprio uno) di vino rosso. Prima che tramonti il sole, scelto uno spiazzo un po distante dalla strada principale, piazziamo l'automobiltenda e stappiamo un bel Merlot californaino, ovviamente, godendoci tali bellezze intorno. Una pioggerella strana non ci permette di mangiare fuori dalla macchina e quindi lo faremo dentro: smurzo di varie cosucce interessanti, buon vino, qualche snack a conforto e ci godiamo questa serata incredibile, impensabile, inaspettata e insolita.

03 giugno 2019, Grand Canyon South Rim, secondo giorno.

Secondo giorno al Grand Canyon Sud.
Ci svegliamo presto, la luce dei finestrini e l'ottima notte trascorsa, ci danno un buon risveglio. Colazione con pane e marmellata, palline di  donuts, comprate a Page, buonissime, smontaggio letto gonfiabile e riordino, pronti a partire verso il parco. Questo camping, molto spartano, senza servizi se non quelli essenziali, è una meraviglia di immersione totale nella natura. Si sentono cinguettare gli uccellini e stanotte anche il grido stridulo di un animale, forse aquila o condor, che sono di casa. Entrati al parco, dal nostro ingresso a sud, riprendiamo la strada lasciata ieri verso il versante est, direzione Desert View, dove, evitando la torre vista ieri, iniziamo a toccare tutti gli altri punti a partire da Navajo Point verso il Visitor Center; questi non sono serviti da alcuna navetta. Purtroppo la nostra auto comincia a manifestare un'anomalia nel computer di bordo: richiesta manutenzione. Inoltre tutte gli attacchi 12 Volt (accendisigari) non funzionano più e per noi sono fondamentali per ricaricare i nostri apparecchi elettronici. Chiamiamo il numero di assistenza della Alamo, l'agenzia di noleggio della nostra auto. Con nostra gradita sorpresa ci mettono a disposizione un interprete italiano e così concordiamo la sostituzione della macchina ma dovremmo recarci nella città più vicina servita dalla Alamo, Flagstaff, a circa 120 km da qui. Ci dicono che il messaggio sul display non è preoccupante per la conduzione dell'auto ma comunque va sostituita. Sconfortati dal dover perdere tempo ma nello stesso tempo rincuorati da tale efficientissima assistenza, lasciamo in sospeso il percorso nel parco da riprendere più tardi e andiamo a Flagstaff, in aeroporto, dove Alamo, come altre agenzie,  gestisce i noleggi. Impieghiamo circa 1.30 ad arrivare e anche quì troviamo un impiegato gentile ed efficiente che però, scusandosi, ci dice subito che la macchina in sostituzione sarà leggermente più piccola della Rav4. Effettivamente è cosi, è una Nissan Rogue Sport ma in compenso è una 4x4. Cambio auto velocemente e si torna al parco. Abbiamo impiegato si è no 3 orette, fortunatamente è ancora presto, circa le 16.00. Ripreso il percorso dal punto lasciato, Il Navajo Point, visitiamo tutti gli altri lasciandoci per ultima la parte centrale, quella in prossimita del Visitor Center, non prima di aver visto il Tusayana Museum e le rovine che si trovano nei pressi del Moran Point, che raccontano la quotidianità e la grande conoscenza dei nativi dell'utilizzo di tutte le le risorse naturali presenti in questo territorio. Ripreso il centro parco, ci lasciamo per ultimo forse il più bello e il più esplicativo punto panoramico che palesa cosa sia e quanto sia magnificente il Grand Canyon: il Mather Point. Dedicato ad un uomo, Stephen Tyng Mather che, come recita la lastra commemorativa "Pose le basi del servizio dei parchi nazionali definendo e stabilendo le politiche sotto le quali queste aree sarebbero state sviluppate e conservate per il godimento delle future generazioni", aveva capito tutto e, come dice l'incisione finale "non ci sarà mai una fine al bene che lui ha fatto". Da qui, insieme al cosiddetto "Anfiteatro" si domina l'intera vallata, si vede il percorso del fiume Colorado all'interno della spaccatura, della ferita inferta da movimenti tellurigi misti all'erosione provocata dal vento, dall'acqua e dal tempo. È indescrivibile l'immensa distesa che si differenzia in tutti gli step che l'erosione ha provocato; dai panorami piatti, detti Mesa (immense piane), alle guglie e ai canyon che mettono  a nudo le caratteristiche geomorfologiche. Si passa da strati di granito, scisto e arenaria che, differenziandosi tra loro per i minerali di composizione, creano strati di colori meravigliosi e caldi, dal mattone al giallo, dall'arancio al bianco, un miracolo della terra. Chiudiamo così la nostra visita a questa meraviglia magnificente, raccomandando a noi stessi che, se avremo la fortuna di tornare, scenderemo a valle per scoprirne i tesori. Mentre ripercorriamo la via di rientro al camping, ci fermiamo nella zona vicina attrezzata di tutti i servizi, compreso il market, dove compriamo bistecche, wustell di tacchino e pomodori; secondo voi? arrivati alla piazzola, Gigi prepara il fuoco; legna e pigne non mancano. In mezz'ora abbiamo preparato il lettone, all'interno della automobiltenda e la cena. Un'altra bottiglia di Cabernet Sauvignon californiano ci accompagna in questa magnifica nottata tra fuoco, bistecche alla brace, cielo stellato e tanta felicità.

02 giugno 2019. Grand Canyon South Rim

Dopo colazione, check out e via, direzione Grand Canyon Sud. I km da percorrere sono 210 km. Prevediamo di arrivare dopo circa tre ore. La strada è lunga e scorrevole con gli ormai soliti ma mai scontati panorami semi desertici, con grosse formazioni di altopiani a destrax e a manca. Arriviamo al gate d'ingresso dove con nostra grande sorpresa ci danno la mappa in italiano risparmiando di andare al Visitor Center, che dista dall'ingresso circa 35 km, e soprattutto permettendoci di capire bene quanto si possa fare e come. Prima tappa però sarà uno dei due campeggi interni perché vorremmo stare proprio dentro per due giorni. Il primo si trova vicino all'ingresso e quindi molto diatnte dal centro ma nella area denominata Desert View, dove vi sono diversi punti panoramici da vedere. Un ranger gentilissimo ci dice che oltre questo c'è un altro campeggio più avanti, vicino al Visitor Center insomma anche se ha dubbi sul fatto che possa essere libero; nonostante ciò non ci sa aiutare per sapere se ci sono posti vacanti o no (telefono no??? mmmma).
Prima di iniziare i 35 km che ci distanziato dal centro, visto che siamo qua, vediamo almeno uno dei punti panormici: la "Watchtower" la torre dell'orologio da dove si ha la visuale a 360: dell'intero canyon e del territorio circostante, compreso un piccolo tratto del fiume Colorado. Il panorama è già mozzafiato. Simile al Grand Canyon Nord, che abbiamo fatto giorni fa, ma sempre pazzesco. La cosa che salta subito all'occhio è la mole di gente. Sapevamo che la parte sud è molto più frequentata perché offre tantissimi servizi ed è la più turistica nonche molto più orgnizzata. Ci sono tre linee di bus navetta che servono
tutto il parco e si differenziano per colore: versante ovest, linea arancione: versante centrale, linea blu e versante est, linea rossa; c'è poi la linea viola che percorre tutta la strada che va dal Visitor Center all'ingresso a sud. Tutta la distanza, dall'ingresso a est, il nostro per  intenderci, all'estremo ovest "Hermits Rest" e' di poco meno di 50 km. Armati di auto e paura di non trovare posto, ci facciamo i nostri  35 km tutt'ad un fiato. Il ranger aveva previsto giusto: campeggio FULL, pieno. Il  ranger all'ingresso, molto antipatico, molto inospitale, molto str...o! nonostante le nostre gentili richieste di possibilità di una cancellazione o altro, neanche ci ascolta e ci da, fortunatamente, una mappa indicativa di altri due campeggi esterni al parco ma molto vicini, di cui uno solo per camper e uno ibrido. Si trovano lungo la strada dell'ingresso Sud, quello che porta nel piccolo agglomerato di Tusayan, dove arriva anche la linea del  bus navetta che serve il parco (quella di colore viola per intenderci). Raggiungiamo subito il campeggio che si chiama Ten X  Campground. È molto grande, molto alberato e spartano, niente doccia ma servizi igienici, acqua potabile e legna compresi nella modica cifra di 10 dollari per notte. In ogni piazzola vi è un'area picnic, con tavola in cemento e panche, compreso il barbeque. Col solito rito, ormai da noi acquisito, di affissione ticket nella piazzola scelta, ci sistemiamo nella 27, ci piace.
Rientrati al parco  da questo versante (distanza pochi km), mappa alla mano, decidiamo di intraprendere lo stesso tragitto della line rossa che percorre la parte estrema a ovest, verso il capolinea che si chiama "Hermits Rest". Parcheggiata l'auto nei pressi del cosiddetto Village, dove c'è il Lodge Bright Angel, facciamo un piccolo tragitto a piedi, mangiamo due cosette di fronte al panorama di Bright Angel appunto e prendiamo la navetta rossa fino a al capolinea, dove gironzoliamo per capire meglio quali trekking partano da qui, per un eventuale futuro ritorno, questa volta ben attrezzati. È veramente una meraviglia che ci lascia senza parole, sempre. Facciamo la conoscenza di due fratelli...magari. Visitiamo il "Kolb studio". Si tratta dello studio cinefotografico, ormai museo, delle imprese e della vita pazzesca di due fratelli, i Kolb appunto, che, agli albori del '900, uno per la passione dell'escursionismo, l'altro per la passione della fotografia, rimasero nel Canyon per 101 giorni, superato 365 rapide (8 delle quali a piedi) e percorso 1200 miglia, ricavandone informazioni preziose per le generazioni future.
Con l'aiuto dei nativi e non solo, perlustrarono remote zone utilizzando mezzi arcaici, come una barca smontabile fatta di legno e pelli di animali, corde legate in vita per calarsi all'interno dei meandri del canyon e tantissima passione. Furono, per tanti anni avvenire, guide e grandi esperti del luogo e contribuirono anche alle ricerche di una coppia , tristemente famosa, di sposini che, proprio in luna di miele, addentratisi nel canyon, sparirono senza lasciare tracce. Una riflessione balena alla mente; quanta gente importante è passata su questo pianeta di cui l'80% della popolazione mondiale non conosce neanche il nome; eppure la storia, spesso, è fatta di piccole gesta di grandi uomini o di grandi gesta di piccoli uomini, come i fratelli Kolb. Ripreso il bus per il rientro, dopo due fermate scendiamo, per proseguire a piedi fino al nostro parcheggio.
La cosa differente tra North e South Canyon, oltre la gente e l'organizzazione e il verde intorno. Al Nord il paesaggio selvaggio è meno ricco di verde, qui, arbusti, ginepri e tantissimi fiori e piante accompagnano ogni tragitto. È ormai pomeriggio inoltrato e quindi andiamo al campeggio. Allestiamo la nostra "automobiltenda", ci organizziamo per mangiare qualcosa di buono acquistata ieri a Page e, mentre Gigi accende il fuoco che fa sempre casa, io stappo una buona bottiglia di vino rosso Californiano, che si rivelerà ottimo. La temperatura è molto gradevole e il cielo stellato è indimenticabile.

1 giugno 2019. Page

Stamattina la giornata promette bene, limpida e molto calda. Non abbiamo siti particolari da visitare e quindi ci dedichiamo a cose utili: lavaggio roba sporca, visto che in questo albergo c'è la zona con lavatrici e asciugatrici, riprogrammazione itinerario, faremo una modifica al percorso originario, ecc. Nel tardo pomeriggio usciamo e andiamo a vedere un percorso che che aveva attirato la nostra attenzione ieri sopratutto per il suo nome ,"Indian Garden". La. Curiosità di capire quale giardino potesse svilupparsi in una zona tanto arida ci incuriosisce.
Parcheggiata la macchina iniziamo questo percorso in una stradina sabbiosa, rossastra; questo colore così intenso ci avvolge. Intorno a noi colline di arenaria e scisto ci accompagnano in un sentiero ricco di sorprese, che non ci aspettavamo. Arbusti e cespugli verdissime, nascondono fiorescenze inaspettate. Seppure piccoli, come meravigliose miniature, sono fiori dai colori sgargianti : il violetto, e il rosso fuoco di alcune campanelline al celeste delle margherite e delle orchidee  selavtiche.  Qualche albero di ginepro ci ricorda la nostra bellissima terra e ci incanta ogni volta per le sue  forme sinuose.
Sotto una rientranza nella roccia una tappezzeria verdissima di felci e micro orchideee.  È davvero un giardino selvatico da non perdere. La riflessione è scontata sul fatto che la vita, nonostante le condizioni avverse di ambienti inospitali come questo, riesca ad attecchire e a insistere  con forza per mantenere i propri spazi così duramente conquistati. La curiosità che ci contraddistingue ci porta a proseguire e settare nelle colline circostanti per godere , dall'alto, di questo panorama. Dal cuccuzzolo riusciamo a vedere la cittadina di Page, il lago Pawell, la centrale elettrica navajo, contraddistinta da tre ciminiere e altre formazioni montuose all'orizzonte.
Siamo sopra una piccola conca, probabilmente un deposito d'acqua dei nativi, che occupavano e vivevano su queste terre: recita infatti questo una didascalia all'inizio del percorso ovvero che questi patrimoni erano navajo.
Stiamo qui fino al tramonto, sempre merorabile. Qualche lucertolona molto grande e particolare fa sfoggio di sé mettendosi in bella mostra e Gigi non aspetta altro per immortalarla. Lasciamo il percorso è torniamo a Page. Qui , come nella maggior parte delle altre cittadine viste, la chiusura dei ristoranti, pub, birrerie è massimo alle 22.00, di solito alle 21.00 quindi simcena presto, non più tardi delle 20m insomma. così faremo. Oggi abbiamo voglia di pizza. Finiamo ij una pizzeria iitaliana, molto ben recensita, dove tutto aveva all'infuori delle pizze nostrane; queste erano rporpio strane! gusti improponibili, quasi tutte con la carne, manzo o pollo; mais, ananas, pepperoni (doppia p sempre) dappertutto e l'immancabile cipolla. Fortuna che c'è la possibilità di personalizzarla quindi la facciamo fare semplicemente con pomodoro e mozzarella ma siccome non ci sono né acciughe né capperi, vai di olive nere. Mangiabile, abbastanza buona. Sono le 20.50 e praticamente ci stanno mandando via con la gentilezza e cortesia che contraddistingue sempre queste persone; un sorrisone, un "tutto bene?" e il conto. Alcuni camerieri stanno mettendo sopra i tavoli le sedie nonostante ci siamo noi e altre tre persone. Ok, pagato e via, ci aspetta l'ultima lotte al confort di un bel l'hotel per passare al Grand Canyon South Rim (a sud del Colorado ) dove dovremmo fare campeggio. Il rpobela di molti parchi è la loro enormità e, quindi, se si vogliono visitare bene, isogna alloggiare il più vicino possibile all'ingresso oppure dentro, nei camping. Vedremo domani.

31 Maggio 2019. Antelope Canyon, Lake Pawell

Notte confortevole in bel lettone caldo. Gigi riesce a trovare due posti on line per accedere al canyon di Antelope, quello nel basso canyon, il lower appunto. I biglietti, per entrambi i canyon si possono fare in loco o via web. L'Antelope Canyon consiste di due parti diverse, chiamate Antelope Canyon superiore e Antelope Canyon inferiore. L'Antelope Canyon è il frutto di milioni di anni di erosione idrica. In effetti, il nome Navajo per Upper Antelope Canyon è "bighanilini" di Tse, che significa "il luogo in cui l'acqua scorre attraverso le rocce". Visitarlo significa, oltre ai 90 dollari di costo, trovare una marea di gente ma godere delle infiltrazioni dei raggi del sole, però solo quando questo è ben alto nel cielo. Prenotare o comunque avere un biglietto non è facile. Noi infatti non ce l'abbiamo fatta. Coloro che l'hanno fatto dicono che è molto bello, diversissimi dal Lower e soprattutto superaffollato...forse siamo stati fortunati? Vediamo un po. Abbiamo prenotato la visita (del Lower Antelope) delle 10.45 e dovremmo essere lì almeno mezz'ora prima. La distanza da Page è di circa 8 km. Arrivati al parcheggio, gratuito, un'ora prima del tour, andiamo allo sportello che fortunatamente non ha fila. Ci chiedono la stampa dei ticket che abbiamo prenotato e pagato via web (costo totale 109 dollari) e ci dicono di tornare dopo e raccomandano di essere molto puntuali, per noi una regola. C'è tantissima gente e ci chiediamo come papero si fa ad entrare in così tanti in un tunnel e, soprattutto, come poter fare qualche foto senza ritrarre persone sconosciute. Poco distante da quì c'è anche l'accesso alla parte alta dell'Antelope Canyon, quella ancora più frequentata. Andiamo un po in giro in macchina, arriviamo, sempre sulla stessa strada, all'ingresso dell'Antelope Point, una zona interna al parco (badget annuale o pagamento di circa 20 dollari) che si visita in macchina e che consente di arrivare alla zona balneare del lago, il Lake Pawell. Torneremo dopo avere visto Antelope Canyon. Ok, arriviamo puntuali al punto d'incontro con gli altri del gruppo e con la guida navajo. Si può accedere solo con le guide del posto.
È un giovane ragazzo indiano molto simpatico e molto “rapper style”; con i suoi pantaloni bassi, scarponi slacciati, felpona e berretto di lana più cappuccio, ci fa sudare solo a guardarlo, ci saranno si e no 25 gradi qui. Una ragazzona ci timbra sul dorso della mano il logo del Canyon e via, seguiamo Nike… la nostra guida. Siamo in 10. Sarebbe bello fossimo soli ma ci sono altri gruppi da 10 che entrano con noi, insomma si è in tanti piccoli gruppi. Scalette per scendere nei meandri del tunnel. Il nome Navajo per Lower Antelope Canyon è Hasdeztwazi o "Spiral Rock Arches" “archi di roccia a spirale” .
Molti anni fa, branchi di Antilope Pronghorn vagavano liberamente dentro e intorno al canyon, il che spiega il nome inglese. Questo incredibile canyon è stato creato nel corso di milioni di anni dalle implacabili forze dell'acqua e del vento, intagliando e scolpendo lentamente l'arenaria in forme sinuose tra le quali la luce del sole, che in esso penetra, si riflette e si propaga, offrendo colorazioni e ambienti unici. È impressionante; questi angoli sembrano sempre in movimento, ricordano dei drappi di velluto sui quali rimbalza la luce, creando uno sfolgorante display di colori, luci e ombre. I nostri occhi non bastano, tra questi meandri ci perdiamo e con miriadi di  esclamazioni di stupore, dopo un'ora volata via come un battito di ciglia, usciamo. Se questi fossero gli inferi, farei la cattiva a vita.
Scioccati da quanto visto, assistiamo, proprio nell'area esterna vicino agli uffici, ad una danza tribale Navajo con tanto di turisti che assistono un po scettici (una forzatura tipicamente turistica) un po estasiati, un po affascinati. Mentre guardo quest'omone che danza, con abiti tipici e movenze tribali, penso a quanto gli esseri umani, dopo che distruggono e massacrano intere popolazioni, ne esaltino, dopo decenni, le loro peculiarità, promuovendo o, come in questo caso, assistendo a rituali ormai finti con la stessa tenerezza con cui si guarda un cane...molto bello ma sempre animale è. Parlo soprattutto di questo paese, che personalmente adoro per tanti piccoli grandi motivi che non sto ad elencare, ma che davvero ha fatto tanto male al mondo, Vietnam et Indios docent. Riprendiamo la strada e andiamo verso la zona balneare dell'Antelope Point; mostrata la tessera, entriamo. Si percorre con la macchina un bel tratto che porta a diversi punti panoramici sul lago, sul bellissimo Lake Pawell. Qui ci sono aree Pic-nic, spiaggette e tante imbarcazioni che se la godono tutta. Molto bello e molto “vacanziero”. Una breve visita si può fare, se hai la tessera o se hai voglia di stare in total relax al sole. Torniamo in hotel e mangiamo qualcosa di più vicino ai nostri gusti: verdura, verdura, verdura, frutta e frutta; dopo tutta sta carne, buonissima per carità, ci è venuta voglia di stare leggeri.
La sera andiamo a vedere la zona del bellissimo Lago Pawell. Anche questo dista pochi km da Page e si raggiunge con una strada di ottimo asfalto (come sempre qua). Ingresso a pagamento, circa 20 dollari, oppure con la tessera e noi fortunatamente l'abbiamo. Ci danno carte e mappe del Glen Canyon, tutta la zona attorno insomma, ma ormai quello che c'era da vedere nei dintorni lo abbiamo visto. Entriamo e ci godiamo questo bel sito. Le acque del lago Powell sono molto chiare e possono raggiungere i 170 metri di profondità. È il prodotto della costruzione dello sbarramento del Glen Canyon sul fiume Colorado. È un enorme lago artificiale (il secondo più grande degli Stati Uniti) con i suoi  3.057 km di costa e una superficie di 658 km².
“Il bacino del lago Powell iniziò a riempirsi nel marzo 1963, raggiungendo il suo punto di massimo volume nel 1980. II lago prende il suo nome dal maggiore John Wesley Powell. rif, wikipedia”. A proprosito, questa intera area appartiene al Glen Canyon. È un canyon naturale della zona  sud-est e Utah centro-meridionale . Una piccola parte dell'estremità inferiore del Glen Canyon si estende nella parte settentrionale dell'Arizona e termina nell' area di Vermilion Cliffs negli Stati Uniti. Come il Grand Canyon a sud, Glen Canyon fa parte dell'immenso sistema di canyon scavati dal fiume Colorado e dai suoi affluenti. In un sito web di promozione ad esso c'è scritto : “La nostra missione è proteggere, conservare e gestire parchi tribali, monumenti e aree ricreative per il godimento perpetuo e il beneficio della Nazione Navajo - i paesaggi spettacolari, i butteri, i canyon, l'aria pulita, la diversità delle piante e della fauna selvatica e le aree di bellezza e solitudine” (e devo dire che ce la mettono proprio tutta; ecco un motivo per cui mi piace questo paese, si ama infinitamente da essere estremista campanilista, cosa che, nonostante l'estremismo, serve a salvaguardare le proprie
peculiarità). Stiamo a godere delle bellezze dei colori del lago e del cielo e aspettiamo un tramonto indimenticabile...sul fiume Colorado. Dopo sì tanta bellezza, si va a colmare gli stinti primordiali e poco alti che mormorano dal nostro interno: la fame. Oggi vorremmo pizza, si pizza. Vicino al nostro albergo ci sono tanti localini, compreso pizzerie. Uno però, alla fine, ci attrae; si chiama “Gone West Family Reastaurant”, Texas style con tanto di icone stellari cartonate all'ingresso. Niente pizza, si va di bistecca e patate con tanto di buonissima birra rossa locale e tanta musica country a contorno. Per oggi può bastare. La pizza, forse, domani.